“Bambini digitali”, ovvero il rapporto che i nostri figli hanno con le nuove tecnologie e che fa tanta paura a noi adulti, genitori, educatori, insegnanti.

Prima di iniziare vorrei giocare un attimo con voi e chiedervi: Ripensando alla vostra storia personale quali sono quelle esperienze “generazionali”? Cioè eventi dei quali vi ricordate esattamente dove e con chi eravate quando avete assistito a quella cosa, cosa stavate facendo in quel preciso istante. C’è una regola: deve essere qualcosa che pensate sia condivisa con la maggior parte delle persone della vostra generazione. Pensateci un attimo, ci torneremo tra poco.

L’idea per il tema di questa diretta mi è venuta dalla mia esperienza di lavoro con i bambini dai 3 ai 12 anni. In questi anni ho visto un po’ di tutto. Da bambini con problemi comportamentali che passano le notti davanti al tablet, a bambini capaci di andare su internet senza sapere ancora leggere. Allora mi sono domandato: ma questi aggeggi, questi schermi, sono un problema o una potenzialità?

Man mano ho capito però quanto sia complesso questo tema e quanto sia necessario uscire da una dinamica “a favore” o “contro” la tecnologia. Per cui stasera sarà il primo episodio di una serie di live nelle quali cercherò di navigare intorno a questo argomento, provando a osservarlo da punti di vista sempre diversi. Non so se alla fine avremo una risposta chiara e definitiva, ma spero di rendere conto della complessità della situazione.

Ora io vorrei subito andare al punto e concentrarmi sulle tre principali paure che attanagliano gli adulti nei confronti a questo tema. Se ne avete altre scrivete le vostre paure o considerazioni nei commenti, proveremo a parlarne stasera o prossimamente.

Gli schermi sono passivi. Impediranno ai nostri figli di fare esperienze “vere”

Una scena che mi capita di osservare, non solo al lavoro, è quella di un genitore che per calmare un figlio agitato lo piazza davanti a un tablet a guardare Peppa Pig, o qualche giochino. Non so se vi sia mai capitato di vederlo al ristorante o in sala d’aspetto o di farlo come genitore.

Da clinico mi potrei chiedere “Perché questo si comporta il quel modo? Forse, banalmente, vuole attirare la mia attenzione perché lo sto ignorando. Se però lo piazzo davanti a uno schermo che messaggio gli do? Non ho tempo/energie/voglia di occuparmi di lui? Quello schermo quindi diventa una cosa molto importante perché sostituisce l’attenzione di un genitore. La colpa è del tablet?È come dire che se metto mio figlio di 4 anni a guidare una Ferrari e lui si sfracella contro un albero, la colpa è della Ferrari. Il problema è che in questo caso l’esperienza digitale non offre qualcosa di nuovo, ma sostituisce un qualcosa che non dovrebbe sostituire.

Proviamo a spostare completamente il focus. Qualche settimana fa Alessia ci ha parlato di Realtà Aumentata. Nonostante si “virtuale” la RA è un’esperienza abbastanza reale da essere utilizzata in psicoterapia e non solo. Ad esempio esistono delle applicazioni educative che simulano il movimento di alcuni animali, come i pipistrelli. Un po’ tipo la Wii ma un’esperienza più immersiva.I bambini giocano ad essere pipistrelli, muovono le braccia e sullo schermo vedono un pipistrello che fa i loro movimenti. Poi l’attività si conclude e cosa accade? I bambini continuano a giocare tra loro ad essere pipistrelli, mangiano i moscerini, volano ecc. Inoltre si ricordano tutte le caratteristiche dei pipistrelli. In questo modo l’utilizzo di un tablet può diventare una vera e propria esperienza, associata a delle emozioni e che permette un migliore apprendimento.

(Ad esempio la realtà aumentata del National Geographic. Vi sembra un’esperienza passiva?)

Giocare su questi schermi è una perdita di tempo. Li distrarrà dalla scuola.

Certo, passare 5-6 ore ogni pomeriggio davanti ai videogiochi può distrarre dalla scuola. Per la verità anche andare al parco a giocare a pallone. Siamo tutti d’accordo che qualsiasi attività non educativa che va a occupare una grossa fetta di tempo del bambino gli toglie tempo per studiare (è una ovvietà).

Anche qui, però proviamo a spostare il punto di vista. Negli USA hanno esistono delle ricerche che hanno provato ad analizzare il comportamento degli utenti durante i videogiochi: come quando mettono in pausa, quando si inceppano, quanto tempo ci mettono a superare certi livelli di difficoltà. Hanno messo questi dati in relazione con i test di valutazione relativi alla predizione del rendimento scolastico. La cosa sorprendente è che i dati combaciano quasi esattamente.

Questo cosa vuol dire? Che si potrebbero utilizzare videogiochi come strumenti di valutazione cognitiva, evitando così lo stress delle classiche valutazioni, la vergogna, quelle assurdità (opinione mia) degli Invalsi. Al contrario i bambini potrebbero essere valutati divertendosi e mettere i loro educatori in condizione di modellare l’insegnamento sulle loro caratteristiche. Oppure possono essere usati anche per la riabilitazione o il potenziamento, come ci ha spiegato ancora Alessia qualche settimana fa (che è sempre un passo avanti a tutti noi e ci segue sempre) riguardo i disturbi dell’apprendimento. Migliore autostima, ottima predizione.

Questi schermi mi isolano da mio figlio

Immaginiamo una scena tipica: dovete preparare da mangiare e in quella mezzora date un tablet a vostro figlio perché non avete alternative. Poi però vi sentite in colpa. Immaginate però che a un certo punto sul vostro telefono (che sicuramente sarà lì a portata di mano) arrivi una notifica che dice “Andrea ha appena associato 5 parole in rima. Chiedigli di giocare con te. E gli scrivete “trovami una parola che fa rima con Cane”. Alcune ricerche sottolineano che in questo modo i genitori sentono di avere il controllo, sono entusiasti di giocare con i figli. E anche i bambini piace, sia per l’aspetto “magico” che hanno questi strumenti (mio papà indovina quello a cui sto giocando), sia perché si crea relazione con i loro genitori.

Conclusione

Torniamo alla domanda fatta all’inizio. Ho fatto un sondaggio tra i miei amici e conoscenti e quelli della mia generazione hanno risposto quasi tutti: 11 settembre e mondiali del 2006. I miei genitori hanno aggiunto giustamente lo Sbarco sulla Luna,. Questo vuol dire, banalmente, che le principali esperienze che hanno segnato le generazioni degli ultimi 50 anni sono state mediate da un televisore. Per noi ora è normale, e forse tra 20 anni a questa domanda si risponderà con un video Youtube o le dirette di Adagio e si ripenserà a quel periodo con nostalgia dei bei tempi andati.

Quello che fa tutta la differenza è partecipare dell’esperienza con i propri bambini. Quindi innanzi tutto dobbiamo imparare noi adulti a usarli e gestirli (se qualcuno di voi è inserito in una chat Whatsapp del lavoro o dei genitori sa di cosa parlo). Vuol dire che se noi adulti guardiamo lo smartphone mediamente 50 volte al giorno (statistiche alla mano) e lo facciamo davanti a loro non possiamo dire ai nostri bambini che è una cosa negativa. È vero, i bambini non hanno gli strumenti per capire e per dare un valore a quello che compare sui loro schermi.

Non voglio dire che bisogna dare qualsiasi cosa in mano ai nostri bambini, che in nome del progresso dobbiamo riempirli di tecnologia. Anzi secondo me ci sono dei limiti da mettere, e delle distinzioni chiare da fare, di cui parlerò nella prossima diretta. Gli schermi sono e saranno parte della loro vita e non possiamo pensare che eliminarli e basta sia la soluzione.

Se veniamo sopraffatti dalla paura, i bambini non impareranno mai come usarli adeguatamente. Sta quindi a a noi adulti capire e parlare senza paura di questi strumenti e spiegargli, in un modo che sia per loro digeribile (un po’ come quegli uccellini che masticano il cibo per i pulcini) che questo sarà il mondo che loro vivranno nei prossimi anni.