Oggi parleremo di identità online. La mia ipotesi è che la costruzione dell’identità digitale segua regole simili alla costruzione dell’identità sociale in qualsiasi altro ambito della vita.

Vi ricordate il film The Mask con Jim Carrey? Quand’è uscito questo film io avevo 8-9 anni e avevo la videocassetta e, vi giuro, l’ho davvero consumata! Per chi non lo sapesse il film parla di un ragazzo non particolarmente di successo che trova una maschera diciamo “magica” che lo trasforma in un personaggio da cartone animato.

Ad ogni modo, l’idea di una maschera che permette di diventare qualcun altro non nasce con questo film. Ora torniamo indietro, solo per un attimo, fino al teatro dell’antica Grecia. Ai tempi gli attori sul palco erano pochi e spesso indossavano proprio delle maschere per interpretare i diversi personaggi della storia. Queste maschere, mi pare, erano chiamate prosopon ma magari condividete il video con qualcuno che ha fatto il classico perché non sono sicuro. In latino la maschera del teatro venne poi chiamata Persona.

La Persona

È molto interessante anche la sua etimologia. Persona letteralmente significa “suonare attraverso” e quindi rimanda all’idea di un “filtro”. In entrata, perché lo sguardo dello spettatore non vedeva il vero attore ma il suo corpo e la maschera; in uscita perché la voce dell’attore risuonando attraverso la maschera si modificava.

Questo concetto della Persona/maschera è stato poi ripreso in tutto il novecento, sia da molti psicoanalisti sia in letteratura. Io vi propongo una possibile lettura ma se conoscete altri ambiti o autori che si sono occupati di questo tema scrivetelo nei commenti.

Nel libro – L’Io e l’inconscio – Jung riprende il concetto di Persona per connotare una funzione psicologica. Nello specifico la Persona, per Jung, è la funzione di relazione con la coscienza collettiva. Vuol dire che quando noi ci presentiamo al mondo costruiamo una (o più) personalità il più possibile adeguata al contesto. Pensateci, nessuno di noi è esattamente la stessa persona con gli amici, al lavoro, in famiglia ecc.

Un altro maestro della psicoanalisi, Winnicott, distingueva tra vero sé e falso sé per sottolineare la differenza tra un aspetto “vero”, nucleare, nudo della nostra psiche e un aspetto “falso”, adattato, difeso. Normalmente queste maschere sono tutte sfumature del nostro colore principale, della nostra individualità “vera”.

Cito autori del secolo scorso perché voglio sottolineare che, a mio parere, i meccanismi di costruzione di una identità su, ad esempio Facebook, seguono regole molto simili alla costruzione di una identità sociale in altri contesti. Possiamo dire che oggi il web è uno dei possibili campi sociali dentro i quali si muovono le dinamiche di costruzione di una identità.

Identità

L’identità, anche qui riprendendo l’etimologia, rimanda all’idea di uguaglianza psicologica. Ora se noi siamo totalmente identici alla nostra maschera sociale, che so lo psicologo o il professore, noi smettiamo di essere autentici o, peggio, siamo psicologi o professori a lavoro, ma anche a casa, con gli amici, nelle relazioni sentimentali ecc.

Pensiamo alla vita online, alla distanza che ci può essere da un profilo social rispetto alla persona “reale”. Se la mia identità si costruisce solo in un ambito si va verso una rigidità per cui io finisco con l’essere sempre la mia maschera. Pensate ad alcuni attori diventati famosi per un certo ruolo o cantanti che hanno fatto una o due canzoni di successo e per una vita vivono dietro quella identità e non riescono a staccarsi.
Oppure può avvenire il contrario, viene rimossa la maschera e non si ha più alcun filtro: a comandare sono le nostre emozioni ad esempio di amore o di odio. Pensate a quante persone utilizzano l’interfaccia web in modo totalmente inconscio, non consapevoli di quello che scrivono, non riuscendo a filtrare le proprie parole.

La maschera che indossiamo online può essere completamente diversa da quella che indossiamo diciamo offline, così come quella che portiamo al lavoro è diversa da quella che vestiamo in famiglia. Questo aspetto di parziale “falsità” è da tenere in considerazione tanto nelle terapie tradizionali che durante un colloquio su Skype.

Assenza di corpo

In linea di massima credo che le dinamiche di costruzione dell’identità siano simili online e “offline”, tranne che per una differenza molto grande: l’assenza di corpo.

Quando siamo in ufficio, o in famiglia, per quanto la nostra identità possa essere falsificata, per quanto la nostra maschera possa essere distante dalla nostra individualità, il nostro corpo è qualcosa di autentico che non possiamo mai del tutto nascondere. Questo, anche in minima parte, ci porta al mondo come non completamente staccati dalla nostra individualità.

Internet, invece, è senza corpo. In alcuni casi questo può aiutare, ad esempio per chi ha un difficile rapporto col proprio corpo. Il rischio però è una dissociazione tra noi come siamo e noi come ci mostriamo. Paradossale in un’epoca dove tutto deve essere concreto, materiale e misurabile.

Ho l’impressione, e con questo concludo, che il digitale stia proprio andando nella direzione di compensare questa mancanza. Siamo passati da nickname fittizi e foto profilo che non erano MAI foto personali. Ora si mette il proprio nome, la propria foto. È aumentata moltissimo l’importanza delle immagini e dei video. E poi la realtà aumentata e tutta una serie di innovazioni che esploderanno nei prossimi anni.

La mia impressione è che si vada sempre più alla ricerca di corpo, che possiamo definire il grande assente nelle nostre identità digitali.